Zio Vanja

di Anton Čechov

adattamento e regia Roberto Valerio
con (o.a.) Pietro Bontempo, Mimosa Campironi, Giuseppe Cederna, Vanessa Gravina, Massimo Grigò, Alberto Mancioppi, Elisabetta Piccolomini

ALEKSANDR VLADIMIROVIÈ SEREBRJAKOV, professore in pensione
Alberto Mancioppi

ELENA ANDREEVNA, sua moglie
Vanessa Gravina

SOF'JA ALEKSANDROVNA (SONJA), sua figlia di primo letto
Mimosa Campironi

MARIJA VASIL'EVNA VOJNICKAJA, vedova, madre della prima moglie del professore
Elisabetta Piccolomini

IVAN PETROVIÈ VOJNICKIJ (VANJA), suo figlio
Giuseppe Cederna

MICHAIL L'VOVIÈ ASTROV, medico
Pietro Bontempo

IL'JA IL'IÈ TELEGIN, proprietario terriero in miseria
Massimo Grigò

costumi Lucia Mariani
luci Emiliano Pona
suono Alessandro Saviozzi
allestimento Associazione Teatrale Pistoiese

produzione
Associazione Teatrale Pistoiese Centro di Produzione Teatrale
con il sostegno di Ministero della Cultura, Regione Toscana

Roberto Valerio - appunti per una regia
In una tenuta di campagna c’è una tavola apparecchiata per il tè sotto ad un vecchio pioppo. 
Poco più in là, dondola un’altalena.
L’atmosfera tranquilla e serena non rispecchia il tumulto disordinato dei cuori. La vita quotidiana e monotona che Vanja, sua nipote Sonja, l’anziana maman Marija, Telegin e il dottor Astrov, conducono in quella residenza di proprietà del professor Serebrjakov, viene stravolta dall’arrivo dello stesso illustre accademico e dalla sua bellissima seconda moglie Elena...
Questi personaggi non sono eroi o eroine, ma persone semplici che ci raccontano il semplice flusso della vita. Della vita di tutti noi. Ed è per questo che ci sentiamo così vicini ed empatici a queste anime smarrite.
Le loro passioni sono le nostre passioni, i loro slanci, le loro delusioni sono le stesse emozioni che accompagnano la nostra vita.
Ogni personaggio insegue un proprio pensiero, una propria ispirazione. Ognuno declama i propri sogni, le proprie sofferenze, che non si incontrano però mai con quelle degli altri personaggi. Parlano a se stessi. I dialoghi non sono mai un vero scambio, un vero dialogo. I personaggi sembrano intrappolati in soliloqui che denunciano la loro incapacità di comunicare.
Ogni personaggio anela al bello, al riscatto, all’amore: tutti però incapaci di agire.
Così come in Beckett i due clown Vladimiro ed Estragone attendono Godot, così i personaggi di Čechov attendono, invano anch’essi, la felicità e un futuro migliore.
I personaggi vivono in una cappa di noia dalla quale non sembrano intenzionati a fuggire. Vorrebbero fare qualcosa per reagire alla propria insoddisfazione e in alcuni momenti sembrano anche riuscirci, ma poi ritornano al punto di partenza.
Zio Vanja si può allora definire il dramma delle occasioni mancate, della rinuncia a cogliere l’opportunità di cogliere le occasioni per cambiare la propria vita.
Zio Vanja è una commedia basata su un vero e proprio meccanismo di inerzia.
“Quando non c’è vita vera, si vive di miraggi” dice zio Vanja.
E allora spesso i personaggi attraverso il bere (vodka o vino) cercano uno stato di ebrezza, di ubriachezza che dia loro la possibilità di evadere dalla realtà.
Nella commedia si beve molto, ben 17 volte i vari personaggi sono invitati dall’autore a bere.
Attraverso il bere si realizza una vita illusoria, inventata, artificiosa. Si contrappone alla non-vita reale, quotidiana. 
Tanto grandi sono i sogni nell’ebrezza dell’alcool, altrettanto grande è l’incapacità di agire nella vita di tutti i giorni.
All’interno del testo, troviamo un continuo balenio di spunti burleschi e tragicomici: il ridicolo tentativo di Vanja di uccidere il Professore Serebrjakov con un colpo di pistola, il penoso tentativo di suicidio dello stesso Vanja con una bustina di morfina, il goffo corteggiamento alla bella e ambigua Elena da parte sempre di Vanja, le ubriacature notturne, le tante piccole stranezze che coltivano tutti i personaggi e che li rendono degli amabili stravaganti bislacchi...
Čechov considerava  Zio Vanja una commedia, quasi un vaudeville.
“Tu sei il re dei buffoni” dice il dottor Astrov a Vanja.
D’altronde i buffoni, i clown, gli eccentrici, non sono l’immagine della solitudine e della tristezza?
Uno spazio vuoto.
In primo piano una vecchia credenza ed un tavolo come elementi stilizzati necessari allo svolgersi delle quotidiane azioni di campagna.
Un velatino quasi sul fondo svela di volta in volta elementi onirici e iperealistici: un’altalena che scende dal cielo, una botte di vino gigante per l’ubriacatura notturna, un pianoforte che ricorda l’infanzia di Elena, un albero di beckettiana memoria…
Una messinscena che oscilla  tra realismo e onirico.
Tra dramma e commedia.
Tra risate e pianti.
Tra malinconie cecoviane ed energia pura.
Uno spettacolo dove le immagini, i suoni e la recitazione trovano unione nella tragicommedia della vita.

INCONTRO CON IL PUBBLICO: la Compagnia incontrerà il pubblico sabato 2 aprile alle ore 18.00 nell'Auditorium della Fondazione Banca del Monte di Lucca (piazza San Martino). L’ingresso gratuito, fino a esaurimento posti, e regolato dalle vigenti norme per il contrasto alla diffusione del Covid-19. Il progetto di incontri con il pubblico è frutto della collaborazione tra Teatro del Giglio, Fondazione Banca del Monte di Lucca, Fondazione Lucca Sviluppo e Fondazione Toscana Spettacolo onlus.